Nonna Fiammetta non è uscita di casa per più di 10 anni. Se sia accaduto così, da un giorno all’altro, non lo so dire. Ricordo che andavamo spesso a fare la spesa: lei si infilava un parka color salmone, con i polsini stretti, un grande scollo fino alla cintura e il doppio petto. Andavamo da Diva, una signora di cinquant’anni che aveva aperto un negozietto di frutta e verdura. Passeggiavamo per mano.
Quando usciva, nonna Fiammetta era incredibile. I bigodini appena tolti, la lacca che faceva dei suoi capelli corti un irremovibile copricapo, con un frequente sorriso sul volto e la voglia di parlare con le persone del mondo. Dietro di lei, una scia di profumo pesante misto a tabacco che mi sembrava gridare la sua esistenza.
Ad un certo punto dei miei ricordi, nonna non usciva più di casa. Si faceva trasportare dall’ascensore del condominio per quattro piani e raggiungeva il garage per fare la lavatrice o per andare a trovare la sua vicina e amica Teresa. Da quel momento non ha più messo piede fuori dal cortile. Commissionava a nonno Giovanni la spesa, la biancheria e le sigarette.
C’è stato un momento, durante la mia adolescenza, in cui ho origliato una conversazione tra i miei genitori: il comportamento di nonna Fiammetta si è trasformato ai miei occhi. Da abituale e ordinario il suo comportamento è divenuto problematico. Un groviglio mi si creò dentro: mi sentivo toccata dal suo malessere, ma la guardavo come fosse un essere instabile, alterato, bisognoso di aiuto. Allo stesso tempo ero intollerante alla banalizzazione che si faceva del suo stato: «È sempre stata strana, è sempre stata malata».
L’esperienza di una collettiva è difficile da spiegare. Da una parte, una costruzione lenta e condivisa delle prospettive politiche, fatta di confronti e domande che definiscono i nostri desideri. Dall’altra una risposta corale ad una serie infinita di inciampi personali, momenti difficili, limiti propri del nostro essere.
È così che mi sono sentita domenica 23 ottobre ad Ancona, quando con il Collettivo Transfemminista Jesi, natx interx, Zia pane e liberx tuttx siamo andatx in piazza con i nostri “Corpi in rivolta”. Reduce da una settimana di panico e crisi di ansia, poco convinta e poco presente a me stessa, mi sono lasciata trasportare. Guardavo tutte le persone che erano attorno a me, cercando di rifuggire il giudizio verso me stessa. Erano tuttx bellissimx, pienx di energia, incazzatx e politicizzatx.
Eccoli i corpi in rivolta: quelli non conformi alla norma, sempre patologizzati dall’ideologia e dal sistema dominante, quelli che non accettano le catene del dominio e della gestione capitalista e patriarcale, che lottano per esistere così come sono, fuori da qualsiasi estetica, da qualsiasi comando, da qualsiasi “normalità”.
Mentre alcunx compagnx parlavano al microfono, mi son trovata sull’orlo di un attacco di panico. Eccolo, il mio corpo in rivolta: incontrollabili i suoi movimenti, i suoi pensieri, il suo ritmo. Il mio corpo è in rivolta perché lui vuole urlare anche se non è interpellato. È in rivolta perchè il mondo attorno non fa altro che dire che «è sempre stato un po’ strano, è sempre stato malato!». Mi spiace non aver vinto la lotta contro il tempo: se Fiammetta fosse viva, oggi avrei altri strumenti, altre idee, altri occhi per starle accanto. Non avrei dubbi riguardo da che parte stare, e avrei la forza di alzare il dito medio e urlare: «Se lei è sempre stata un po’ strana e malata, lo sono anche io, perché lei è mia sorella»
“2.” È il secondo di tre racconti che ruotano attorno alla figura reale e immaginaria di nonna Fiammetta e delle sue lotte – a sua insaputa o forse no – femministe. Si tratta di un piccolo progetto/cuore che tenta una rilettura di eventi di vita personale attraverso la militanza politica contemporanea. La ricerca e la scrittura è avvenuta nel rispetto delle persone care. Qui il racconto 1.