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Abilismo e scrittura / esito di laboratorio

Sono arrivata a casa di L. e R. ad ottobre 2022, con l’intenzione di sperimentare: volevo tentare di tenere insieme le competenze che nei miei lavori nel mondo del giornalismo ho acquisito, la passione per la scrittura, e allo stesso tempo le riflessioni attorno all’abilismo come oppressione sistemica che stiamo elaborando all’interno della collettiva transfemminista Colla di cui faccio parte.

Foto di Francesca Tilio

Sebbene io abbia cercato di formulare una scaletta di attività, ho sentito l’esigenza di lasciare molto aperta la dinamica di scambio, per comprendere come e su cosa lavorare. Il percorso, per i primi mesi – una volta a settimana per 3 ore -, si è concentrato su giochi e dispositivi ludici atti ad prendere confidenza prima di tutto tra noi, e poi con le lettere, la parola, l’errore. Alcuni libri hanno campeggiato all’interno del laboratorio, utili per comprendere le varie forme che in letteratura è possibile adottare per raccontare una storia: tra questi, alcuni romanzi di Simone de Beauvoir, la poesia di Patrizia Cavalli e alcuni libri illustrati. Dopo aver preso confidenza, abbiamo inquadrato delle idee che R. e L. sentivano urgenti da esprimere: R. era molto determinata a mettere per iscritto la sua storia, con la biografia “Racconto di una rosa e le sue spine” che ripercorre vicende dolorose e gioiose della sua vita e per farlo ha scelto la formula della fanzina, ovvero un testo scritto a mano e fotocopiato, rilegato a mano in una edizione artigianale che portasse dentro di sé, oltre alla bellezza del racconto, anche scarabocchi, cancellature ed errori. L. desiderava invece concentrarsi sulla relazione intima che intrattiene con la propria sorella, dedicandole piccoli testi suggestivi, alternati ad un diario quotidiano. Per questo testo, intitolato “A zecca”, L. ha optato per la scrittura a computer e una stampa e rilegatura classica, lasciando ad ogni testo lo spazio – anche grafico – necessario per respirare.

Foto di Francesca Tilio

Durante il laboratorio, ho avuto molti dubbi. Ho pensato di condividerli per onestà. Mi sono chiesta da quale posizione di privilegio io mi trovavo a parlare e quindi da quale posizione sottoponevo esercizi e letture: esiste un confine tra direzionare un lavoro e mettersi a servizio dell’altro? Come assicurare che la pratica di scrittura rimanga una pratica accessibile e femminista, e quindi non sovradeterminare i desideri delle persone che sono al mio fianco? Come far sì che R. e L. e i loro testi intimi non venissero esposti a sguardi e giudizi? Come boicottare la tenerezza negli occhi degli altri?

Ho sentito l’esigenza di confrontarmi con una compagna femminista con disabilità che mi ha innanzi tutto consigliato appunto di condividere questi dubbi. Poi mi ha detto: «Sarebbe interessante capire in che misura i testi esito del laboratorio siano l’affermazione di una storia che riferisca un processo di autodeterminazione delle autrici, e quanto sia invece un esito necessario per chi non vive la disabilità sulla propria pelle, per far vedere che è stato fatto un buon lavoro o per avere un motivo in più per pensare che, poverine sono disabili ma che brave che sanno pure scrivere».

Non siamo qui per raccontarvi spaccati brutali del nostro percorso in maniera ossessiva e perversa, non siamo qui per proporre episodi o aneddoti teneri e carini. Non siamo qui per farvi commuovere. Siamo qui perché vogliamo prenderci uno spazio per raccontare, ognuna a suo modo, un percorso di scrittura che ha portato alla stesura di due testi, “A zecca” e “Racconto di una rosa e le sue spine”, che portano dentro di sé un anno di lavoro molto bello e a volte faticoso. Liliana e Rosa non sono delle brave disabili che sanno anche scrivere, così come io non sono una brava persona che fa volontariato perché è caritatevole. Abbiamo vissuto le ore del nostro laboratorio come uno spazio di piacere e di desiderio: avevamo voglia di incontrarci, scrivere, berci una tisana e chiacchierare. Vogliamo essere qui e abbiamo desiderio di raccontare le storie emerse dal percorso, non per sensibilizzare o smuovere i cuori, ma perché abbiamo capito che mettere per iscritto con la penna la nostra vita è un atto di libertà. Questi libri non hanno il sapore di una vita dolorosa e toccante, ma di una vita che tenta di diventare vita liberata.

Foto di Francesca Tilio